Il rischio virtuale nell’era di Facebook: l’assenza di corporeità

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La comunicazione mediata tecnologicamente è quella particolare forma di espressione tra due o più individui basata sull’utilizzo di strumenti tecnologici-multimediali che effettuano una codifica ed un’elaborazione digitale dell’informazione.

Tale forma interattiva si differenzia dalla modalità faccia a faccia, poiché quest’ultima è caratterizzata dall’utilizzo di una molteplicità di canali comunicativi, ma richiede, per mantenere una struttura dialogica, la contiguità spazio-temporale dei soggetti implicati nella trasmissione dei contenuti. I recenti prodotti della tecnologia e dell’elettronica hanno contribuito perciò a mutare i concetti di spazio, tempo e territorio, creando mondi e scandendo ritmi impensabili fino a qualche decennio fa. Essi hanno delineato nuovi confini tra mente e realtà. L’accelerazione del tempo, dovuta alla disponibilità dello strumento di contatto, pone, infatti, gli individui nella condizione di essere sempre reperibili e contattabili.

Tramite social network, cellulari e altri strumenti multimediali è possibile per l’individuo collegarsi a molteplici contesti sociali e passare fluidamente da una rete all’altra, così che il loro utilizzatore può essere definito un “soggetto nomade” ed il mezzo stesso un “oggetto nomade”. D’altra parte, la diffusione della telefonia mobile e di internet è un fenomeno collettivo correlato ad una serie di bisogni basilari di relazione, quali la connessione sociale, l’istanza di appartenenza ad una comunità e l’urgenza di accesso immediato a diverse persone e differenti tipi di informazione.

Per quanto riguarda i social network, le funzioni che vengono attribuite a questi mezzi vanno dalla riduzione dell’ansia e della solitudine, all’incremento del senso di sicurezza, al mantenimento della coesione all’interno di nuclei familiari e amicali. E’ come se queste “piattaforme” virtuali creassero delle “comunità psicologiche” che vanno a sostituire le comunità di vicinato e determinassero una sorta di prossimità simbolica.

Il social network, oltre a una proliferazione di identità, crea una doppia presenza: da una parte è un luogo di riflessione anche intima, ma contemporaneamente è un luogo di affermazione pubblica, l’ufficio dove registrare la propria dichiarazione di “esistenza in vita”. Ciò che viene meno è la comunicazione non verbale fatta di gesti, posture, tono della voce e più in generale di tutti quegli elementi che permettono, nel processo comunicativo, di intercettare aspetti importanti per cogliere il senso di un messaggio. Per questo motivo si è tentato di inserire dei segni convenzionali rappresentati dalle cosiddette “emoticon”. La comunicazione vis-à-vis rende infatti riconoscibili tratti somatici, personali e di status sociale, laddove invece la comunicazione on-line è in grado di preservare proprio l’impersonalità e l’anonimato. Proprio questa possibilità di restare anonimi, presentandosi a volte semplicemente attraverso un proprio nickname, rende il mondo delle chat uno spazio in cui diviene possibile esprimersi in maniera più libera, creativa e disinibita, ma al tempo stesso può portare ad assumere atteggiamenti aggressivi e socialmente indesiderati poiché l’impersonalità ha come conseguenza un’attenuazione del senso di responsabilità per le proprie azioni.

Facebook sembra costituire un palcoscenico nuovo in cui agire la sperimentazione di sé. Ad esempio il messaggio che si sceglie da inserire in bacheca ha proprio lo scopo di dare identità, mostrare apparenze. La frase scelta spesso esprime emozioni con l’intento di vedere poi chi si interessa al proprio stato d’animo del momento, a volte volutamente comunicato in modo più o meno enigmatico, altre volte in maniera meno autentica, per suscitare curiosità, attirare attenzione, lanciare l’amo per vedere chi abbocca. Spesso non è fondamentale la risposta, l’importante è che all’altro arrivi il contenuto che in quel momento occupava la mente e che trova nel messaggio un canale d’espressione rapido e immediato.

La rappresentazione prevalente resta quella di un mezzo di supporto, di un sostegno che non sostituisce il contatto diretto, ma che può favorire la creazione o il rinforzo di un legame. Si riescono a dire cose imbarazzanti, che fanno paura perché troppo intime o perché manca il coraggio di dirle di persona, cose che resterebbero mute perché non potrebbero mai essere condivise direttamente guardando negli occhi. Ciò che viene perso è proprio la dimensione poetica, ridondante del linguaggio. Il codice usato nello scrivere i messaggi, parzialmente iconico, nel tentativo di disambiguare, aumenta invece l’ambiguità. Ciò che viene favorito è il canale, non il contatto.

Occorre tuttavia precisare come dalle ricerche si sia riscontrato che, nella maggioranza dei casi, non si assiste a comportamenti disfunzionali. Internet non sembra poter rappresentare una causa diretta di psicopatologia, ma una potenziale minaccia solo per individui con caratteristiche di personalità predisponenti.

 

Dott. Alberto Zerbini

Psicologo, Neuropsicologo

 

 

Bibliografia

Ferraro A.; Loverso G. (2007) Disidentità e dintorni. Franco Angeli

Melman C. (2010) L’uomo senza gravità. Bruno Mondadori

Ceci R. (2010) Il senso della vita nell’era di facebook. Edizione Rosone

Di Renzo M.; Bianchi F. (2010). Mille e un modo di diventare adulti. Magi edizione

 

 

Cecilia Pecchioli

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