“Il fatto che manchino prove scientifiche che attestino l’esistenza di una determinata sindrome o patologia – afferma il Dott. Carlo Pagani, responsabile del CPS di Zona 11 di Milano – non sminuisce la sofferenza che le persone portano ogni giorno alla nostra attenzione. Una ragazza con disturbi alimentari, una persona depressa o un uomo con attacchi di panico esprimono una forte richiesta di aiuto. I familiari e le persone a loro vicine, pur senza il bisogno di vedere basi scientifiche che attestino una componente organica responsabile del disturbo, solitamente capiscono che occorre fare qualcosa per alleviare le sofferenze delle persone a cui vogliono bene.
Questi disagi esistono a prescindere dal fatto che non compaiano valori fuori dalla norma negli esami del sangue o in altri test biologici e la sofferenza delle persone non viene cancellata da queste considerazioni.
Tutti i farmaci possono portare effetti collaterali, persino l’aspirina. A maggior ragione quindi gli psicofarmaci devono essere prescritti con grande cautela e il medico è tenuto a valutarne la somministrazione e il dosaggio operando in scienza e coscienza per salvaguardare in primis la salute del paziente”. Eliminare l’uso dei farmaci perché possono essere utilizzati male sarebbe un po’ come abolire la chirurgia perché alcuni medici fanno interventi non etici, inutili o rischiosi. “Ovviamente – puntualizza Pagani – la terapia farmacologica andrebbe sempre affiancata da un intervento psicoterapico in grado di aiutare il paziente accompagnandolo verso una completa guarigione”.
Sulle pagine del sito dell’ Aifa (associazione Italiana Famiglie ADHDwww.aifa.it/miti_adhd.htm ) molte altre risposte vengono date senza mezzi termini ai dubbi sollevati dagli scettici: “Affermazioni gratuite che non fanno riferimento a studi o approcci scientifici, sia nella realtà gravida di conseguenze molto dannose. Fra queste, la negazione di un adeguato trattamento a coloro che ne avrebbero bisogno e quella di fuorviare pericolosamente i non addetti ai lavori come genitori ed insegnanti. …Come genitori che dopo anni di terapie rivelatesi inutili in molti casi abbiamo visto “rinascere” i nostri figli proprio grazie al trattamento farmacologico, non possiamo permettere che questo “strumento” non possa venire utilizzato nei casi necessari solamente per il paventato timore di possibili abusi”.
La questione dell’ADHD, coinvolgendo in prima persona i bambini e i loro genitori, merita una riflessione approfondita. Sempre dalle pagine del sito dell’Aifa si legge: “Il Disturbo da deficit d’attenzione ed iperattività (ADHD) è uno dei disturbi neuropsichiatrici più frequenti, ad esordio in età evolutiva, caratterizzato da inattenzione, impulsività e iperattività motoria che compromette numerose tappe dello sviluppo e dell’integrazione sociale dei bambini. Si tratta di un disturbo eterogeneo e complesso, multifattoriale che nel 70-80% dei casi coesiste con un altro o altri disturbi (fenomeno definito comorbilità), fattore che aggrava la sintomatologia rendendo complessa sia la diagnosi sia la terapia.”
La diffusione del disturbo si attesta tra il 3 e il 5% negli Stati Uniti mentre in Europa la percentuale si abbassa al 2%, colpendo più i maschi rispetto alle femmine (con un rapporto di 1 a 4).
Nel 20-30% dei casi questa patologia va incontro a remissione spontanea e totale dei sintomi tra i 12 e i 20 anni. Più frequentemente avviene una remissione parziale (il 50%) con scomparsa dell’iperattività e persistenza del ridotto grado di attenzione e di difficoltà nel controllo degli impulsi. Nel 15 – 20% dei casi, invece, si riscontra una persistenza dei sintomi in maniera grave.
“E’ soprattutto su quest’ultima categoria che occorre intervenire con i farmaci per cercare di preservare il futuro sviluppo del bambino – osserva la dott.sa Valenti, responsabile dell’Ambulatorio ADHD di Corso Plebisciti 4 a Milano – ovviamente questo può avvenire solo dopo avere preso in considerazione una molteplicità di fattori quali la severità dei sintomi, la valutazione delle risorse disponibili nella comunità, lo studio dei precedenti interventi terapeutici e il consenso dei genitori e del bambino al trattamento .
“Sebbene non tutti i bambini che presentano ADHD necessitano di un trattamento farmacologico, così come non tutti i bambini con la febbre hanno bisogno di prendere degli antibiotici, pensare di non usare i farmaci nei casi gravi di ADHD dovrebbe essere considerato non etico al pari di non usare antibiotici nelle infezioni severe. Il farmaco può essere utile, ferma restando la necessità di una titolazione attenta ed un monitoraggio costante della terapia farmacologica al fine di ottenere una maggiore efficacia del trattamento.
Detto questo non si vogliono nascondere gli effetti collaterali che i farmaci possono provocare .
I più comuni si presentano tuttavia in forma transitoria. I farmaci stimolanti possono provocare cefalea, mal di stomaco, diminuzione dell’appetito, insonnia e capogiri. Quelli noradrenergici, invece, possono portare alla diminuzione dell’appetito, vertigini, dermatiti, dispepsia”.
Resta in ogni caso fondamentale un programma di trattamento personalizzato continuamente monitorato ed ottimizzato, che non sia incentrato unicamente sulla parte farmacologica ma che consideri tutti gli ambienti con i quali il bambino viene in contatto, cercando di ridurre i sintomi ed evitarne le complicazioni, educando il bambino e l’ambiente circostante a rapportarsi nei confronti del disturbo.
“Anche quando la terapia farmacologica viene considerata indispensabile – precisa la dott.sa Valenti – è fondamentale cercare di modificare il comportamento del bambino agendo su più piani . Un training specifico è riservato ai genitori e un altro avviene nella classe del bambino per ridurre i problemi comportamentali ed emotivi. Si cerca di migliorare il rapporto tra il bambino e le figure principali di riferimento, fornendo maggiore serenità al contesto di crescita. Infine, affianchiamo una terapia cognitivo comportamentale (CBT) rivolta al bambino e finalizzata a una ulteriore riduzione dei problemi comportamentali ed emotivi ma anche ad affinare le abilità sociali e accademiche sviluppate”.
Come già ho scritto in un articolo sull’utilità della diagnosi, il movimento dell’antipsichiatria ha apportato in passato grandi innovazioni nel trattamento delle persone con disturbi psichiatrici, migliorando le condizioni di cura e ponendo l’accento sull’importanza di rispettare e trattare le persone come tali e non come figure da emarginare e nascondere. Spesso i movimenti di rottura rispetto alle culture dominanti del tempo sono violenti ed esacerbano i toni della discussione. E’ più volte capitato che i valori positivi portati dalle correnti “estremistiche” riuscissero ad essere inglobati in un orizzonte terapeutico comune solo in un secondo tempo.
La speranza è quella che la mobilitazione sempre maggiore di persone scettiche nei confronti degli attuali metodi di trattamento farmacologico possa essere utile ad ottenere una maggiore informazione circa quei problemi che ogni giorno tormentano adulti e bambini. Non un intralcio al trattamento di problematiche che esistono ma una risorsa, un valore aggiunto in grado di garantire sempre maggiore trasparenza sulle modalità più adatte ad aiutare le persone bisognose .
Dott. Luca Mazzucchelli
Fonte: www.psicologo-milano.it